Le grandi sfide dei cosiddetti “Paesi in Via di Sviluppo” (PVS), danno spesso spazio alla tecnologia e si affidano alla cultura scientifica occidentale per suggerire soluzioni.Per lungo tempo la soluzione ai problemi di povertà nei PVS è stata individuata nella forte industrializzazione applicando le tecnologie avanzate dei paesi occidentali senza tener conto del contesto ambientale, sociale, economico, politico nel quale queste si vanno ad inserire.
I modelli di produzione occidentali hanno come cardine la tecnologia cioè lo studio dei processi che concorrono alla trasformazione di una determinata materia prima e l’innovazione tecnologica è considerata uno degli elementi chiave dell’aumento del reddito pro-capite e della crescita, perché permette di aumentare la produzione di beni e di migliorarne la qualità.
La capacità di creare innovazioni tecnologiche dipende tanto dal capitale economico quanto, soprattutto, dal capitale umano e in particolare dal livello di istruzione scolastica ed universitaria della popolazione insieme ad accettabili condizioni di vita e di lavoro.
I popoli che non hanno sviluppato tecnologie proprie incontrano oggettive difficoltà nell’utilizzo di quelle dei paesi più sviluppati perché queste spesso non rispondono in maniera adeguata alle esigenze reali delle popolazioni.
Nasce così una divaricazione sempre più netta tra le esigenze di razionalità contabile (ridurre i costi e massimizzare i profitti) e quelle di sviluppo economico e sociale di un territorio.
Il modello dell’industria moderna, fondato sulla ricchezza di capitali e sulla carenza di mano d’opera non può essere proposto in società che, al contrario, sono povere di capitali e ricche di mano-dopera.
Quindi anche le tecniche di produzione utilizzate dovrebbero essere relativamente semplici in modo da ridurre al minimo le richieste di alte specializzazioni mentre la produzione dovrebbe basarsi soprattutto su materiali locali e per uso locale.
L’approccio locale parte dal presupposto che ogni territorio necessita di un suo specifico tipo di sviluppo ponendo particolare attenzione all’uso delle tecnologie ritenute più idonee per la regione in cui vengono implementate.
La tecnologia deve essere accessibile a tutti e ha come obiettivo quello di soddisfare le esigenze fondamentali dell’uomo senza creare altre criticità, squilibri sociali o danni ambientali.
Il 70% dei poveri nel mondo vive in zone rurali e il loro sostentamento dipende dalle risorse naturali.
All’interno dei progetti di cooperazione e di sviluppo umano, gli interventi di tipo ambientale giocano un ruolo importante, visto che la povertà e il benessere delle popolazioni sono in relazione allo stato degli ecosistemi in cui esse vivono.
Quando l’ambiente non viene valorizzato, quando gli interventi di sviluppo non rispettano la biodiversità e non evitano impatti e degrado ambientale, sono i poveri ad esserne maggiormente penalizzati perché vengono compromesse la qualità del cibo e la salubrità della terra.
Dalla dimensione Mondo alla dimensione locale si sviluppa una tecnologia appropriata che sa adattare le conoscenze scientifiche alle peculiarità ambientali, economiche e socio-culturali del paese che ospita lo straniero.
I progetti a piccola scala basati sulle tecnologie appropriate offrono migliori garanzie di successo per la corretta gestione dell’ambiente.
Favorendo la tutela dell’ambiente, assicurando l’accesso all’acqua potabile insieme a una corretta gestione dei rifiuti e dei reflui, producendo energia pulita è possibile avere le condizioni indispensabili per garantire ad ogni individuo, di condurre una vita sana e produttiva.
Chi lavora per migliorare le condizioni di vita di altre persone ha a che fare innanzitutto con relazioni e “beni immateriali”, che spesso esplicano i loro risultati solo nel medio-lungo periodo: come è possibile misurare in modo sensato e in tempi utili questa tipologia di cambiamento? Attraverso quali strumenti e indicatori?
Dopo anni di cooperazione in cui l’obiettivo ultimo del progetto ha sempre risposto alle esigenze dirette delle popolazioni con tecnologie occidentali, oggi si sta parlando molto della valutazione dell’impatto sociale nell’ambito delle organizzazioni che fanno progetti nei PVS. Misurare il numero di attività svolte (corsi, conferenze, assistenze domiciliari…), i “prodotti” realizzati (scuole, pubblicazioni, pozzi…) e il grado di soddisfazione dei beneficiari non basta più. Occorre dimostrare in modo trasparente e verificabile come l’azione messa in campo abbia modificato concretamente la vita delle persone, l’area di intervento o il sistema di welfare nel quale le varie realtà hanno investito tempo, risorse e finanziamenti.
In Italia, il tema della valutazione rappresenta una delle aree di novità della nuova Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo (Legge 125/2014).